La società per l’esercizio della professione forense
“STA” – “SOCIETA’ TRA AVVOCATI”
Breve excursus storico dell’istituto
Il disegno di legge in materia di concorrenza, dopo quasi tre anni di gestazione, diviene legge ed entra in vigore. Dettagliatamente, la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della Legge 4 agosto 2017, n. 124, conosciuta come “Legge annuale per il mercato e la concorrenza”, è avvenuta il 14 agosto 2017 e il provvedimento è entrato in vigore il 29 agosto 2017.
La Legge in parola, che consta di un solo articolo ma di addirittura 192 commi, affronta delicate questioni in materia di assicurazioni, energia, trasporti, ambiente, comunicazione, e soprattutto professioni, con l’obiettivo di stimolare la crescita e la produttività.
Una delle significative novità introdotte con questa Legge afferisce alla opportunità di costituire le c.d. “STA”, cioè le “Società tra Avvocati”. Ad onor del vero, tale possibilità era già stata oggetto di legiferazione con il D.L. 96/2001, in attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui e’ stata acquisita la qualifica professionale.
Tuttavia, l’art. 16 del succitato Decreto Legislativo impone(va) l’utilizzo della sola tipologia di società in nome collettivo e il possesso del titolo di avvocato quale insuperabile requisito soggettivo dei soci. La previsione di un modello così eccessivamente rigido non ha mai consentito un reale sviluppo di tali società, diversamente da quanto verificatosi nei paesi di matrice anglosassone con il proliferare delle c.d. LLC (“Limited Liability Company”) e LLP (“Limited Liability Partnership”). Con la legge 247/2012 (“Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”) il legislatore, preso atto dello scarso successo riscosso dallo schema di “Società tra avvocati” introdotto con il D.L. 96/2001, aveva delegato il Governo affinché si occupasse di ripensare alla disciplina delle medesime, indicando all’art. 5 -oggi abrogato- una serie di importanti criteri direttivi. La delega non è mai stata attuata, tuttavia tali criteri hanno svolto un ruolo essenziale nel processo di elaborazione delle odierne “Società tra Avvocati” (STA).
La Legge sulla Concorrenza 4 agosto 2017, n.124, infatti, ha introdotto nella Legge 247/2012 l’art. 4-bis rubricato “Esercizio della professione forense in forma societaria”.
La disciplina delle STA – “SOCIETA’ TRA AVVOCATI”
Il nuovo art. 4-bis si compone di 6 commi e ciascuno di essi si occupa di delineare i vari aspetti del nuovo istituto.
Nello statuire sul punto, il legislatore sembra aver in larga parte seguito i criteri direttivi che erano stato formulati nel 2012 al momento della -inattuata- delega al governo.
2.1 La tipologia di società
Il primo elemento innovativo attiene la tipologia di società che la STA può assumere. Infatti, il primo comma dell’art. 4-bis fissa subito un punto nodale, a superamento della forte rigidità che aveva caratterizzato i modelli precedenti: “L’esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative”.
In altre parole, dal tenore letterale della riforma, si evince che sarà possibile costituire uno Studio Legale con la forma di qualsiasi modello:
a) di società di capitali [S.r.l., S.p.A., S.a.s. (si deve escludere la Srls poiché il legislatore, all’art. 2463-bis, impone l’adozione nell’atto costitutivo di specifiche ed inderogabili clausola statutarie pattizie individuate nel modello standard tipizzato),b) di società di persone (S.s., S.n.c. e S.a.s.) e c) di società cooperative.
Le STA, dunque, non si pongono come un genere ad hoc rispetto alle tipologie di società disciplinate nel nostro Codice Civile, né si impone l’utilizzo della sola tipologia di società in nome collettivo come avvenuto con il D.L.96/2001. Ne deriva che le “Società tra avvocati” così costituite saranno soggette a tutte le disposizioni previste ex lege per il modello societario adottato, salvo quanto diversamente ed espressamente previsto dalla normativa speciale. 2.1.1 Conferimenti La scelta del modello societario impone ai soci un conferimento.
Questo potrà avere ad oggetto denaro, beni mobili o immobili utili al perseguimento dell’oggetto sociale, nonché la propria opera professionale qualora il socio sia un professionista. E’ evidente che, anche qualora un socio avvocato abbia scelto di limitare il proprio conferimento al denaro, egli sarà comunque libero di prestare la propria opera nei confronti della società, previa negoziazione di ciascun incarico. L’aspetto della natura del conferimento deve essere comunque compatibile con la disciplina legale del modello di società adottato nella STA.
Ad esempio, qualora la STA abbia natura di società di persone (cfr. art. 2263, comma 2 e 2295, n. 7, c.c.) o di S.r.l. (cfr. art. 2464, comma 6, c.c.), allora il conferimento potrà esser limitato anche alla sola prestazione d’opera, integrando così la posizione di “socio d’opera”. Tale ultima posizione, invece, non è ammissibile nella STA che adotti il modello della S.p.A. poiché la prestazione d’opera professionale può formare unicamente oggetto di prestazione accessoria ex art. 2345 c.c. o di apporto eseguito a fronte dell’emissione di strumenti finanziari ex art. 2346, comma 6, c.c.
Dunque, a questa prestazione dovrà necessariamente aggiungersi anche un conferimento in danaro.
2.2 Obbligo di iscrizione e divieti di partecipazione
Il primo comma dell’art. 4-bis prosegue prevedendo a) l’obbligo in capo ai costituenti di iscrivere la STA “in un’apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società”; b) l’assoluto divieto di partecipare alla medesima per il tramite di “società fiduciarie, trust o per interposta persona”, pena l’esclusione del socio. In sostanza, per quanto concerne il sub a) il legislatore ha previsto che i soci, al momento della costituzione della STA, debbano attivarsi al fine di iscrivere la società nell’apposita sezione degli albi o dei registro conservati all’interno dell’Ordine degli Avvocati (competente per territorio a seconda della sede della società) e, successivamente, comunicare al medesimo Ordine ogni vicenda modificativa (variazione della ragione/denominazione sociale, dell’oggetto sociale, della sede legale, del nominativo del legale rappresentante, dell’atto costitutivo e così via).
Per quanto attiene il sub b), il legislatore ha voluto espressamente prevedere l’impossibilità di partecipare alle STA mediante società fiduciarie, trust o per interposta persona. Sul punto il legislatore ha previsto un’espressa sanzione nell’ipotesi in cui la disposizione sia violata: l’Ordine degli Avvocati, accertata l’inosservanza, procede all’esclusione di diritto del socio dalla STA.
2.3 Limitazioni nella composizione e causa di scioglimento
Nei principi direttivi individuati nel 2012 dal legislatore nella già richiamata delega al Governo, la partecipazione alle STA era limitata ai soli soci che fossero “avvocati iscritti all’Albo”. In sostanza, l’ottica del legislatore del 2012 era quella di escludere la partecipazione di “soci non professionisti”, o ancor meglio di “soci non avvocati”.
Con la riforma in commento lo scenario muta sensibilmente, ammettendo -anche se con importanti limitazioni- la partecipazione sia di “soci professionisti diversi dagli avvocati” che di “soci non professionisti”. Il comma 2 dell’art. 4-bis, alla lett. a), infatti, così testualmente recita: “Nelle società di cui al comma 1: a) i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all’albo ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni”.
A voler utilizzare altre parole, le STA, costituite nelle summenzionate forme, devono essere composte per due terzi (2/3) del capitale sociale (e dei diritti di voto) o da avvocati o da avvocati unitamente ad altri professionisti iscritti nei rispettivi albi; il restante un terzo (1/3) può essere composto da soci di capitale non professionisti.
Dunque, nonostante l’evidente volontà del legislatore di assicurare il controllo della società ai soci professionisti mediante la previsione di una maggioranza qualificata (2/3 del capitale sociale), il cambio di rotto è netto, soprattutto se considerato che anche i soci non professionisti hanno diritto di voto. Tra l’altro, ferma tale riserva legale in favore dei soci professionisti (2/3 del capitale sociale), nulla impedisce che nello statuto della STA si prevedano quorum decisionali superiori ai 2/3, con la conseguenza che anche i soci di capitale debbano partecipare all’adozione delle decisioni.
Il comma 2, poi, sempre alla lett. a), così prosegue: “il venire meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell’ordine presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa dall’albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi”. Il testo di legge è limpido nel prevede che, qualora il numero dei soci professionisti (avvocati e non) e la loro partecipazione al capitale sociale della STA divenga inferiore ai 2/3 ed entro il termine perentorio di sei mesi non si ristabilisca lo status quo, si avrà lo scioglimento della società e la cancellazione dall’albo.
2.4 L’organo di gestione
Le lett. b) e c) del comma 2 dell’art. 4-bis statuiscono in ordine alla composizione dell’organo di gestione della STA. Si legge: “b) la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati; c) i componenti dell’organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale;”.
L’organo di amministrazione, alla stregua del dettato normativo appena richiamato, deve essere composto in maggioranza da soci iscritto all’Albo degli Avvocati, mentre la restante parte può anche esser composta da soci professionisti non avvocati o da soci non professionisti. Nulla quaestio, dunque, alla possibilità che il socio di capitale faccia parte dell’organo di gestione. La sola premura del legislatore è quella di garantire, sempre e comunque, una posizione di preminenza in capo ai soci avvocati, di modo che possano veicolare le decisioni in materia di ripartizione di assegnazione degli incarichi, scelta dei collaboratori, calcolo dei compensi e modalità di esecuzione della prestazione.
Per ciò che afferisce la carica di amministratore, nell’ultimo periodo del comma 2, dell’art, 4-bis si legge: “i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori”. Tale ultima previsione, va interpretata nel senso letterale di acconsentire affinché il ruolo di amministratore della STA possa esser ricoperto sia da soci di capitale che da soci professionisti (avvocati e non), superando così le problematiche inerenti l’incompatibilità per l’avvocato nell’assunzione della carica di amministratore.
2.5 Il principio della personalità della prestazione
Al comma 3 dell’articolo in commento si legge: “Anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria resta fermo il principio della personalità della prestazione professionale.
L’incarico può essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente, i quali assicurano per tutta la durata dell’incarico la piena indipendenza e imparzialità, dichiarando possibili conflitti di interesse o incompatibilità, iniziali o sopravvenuti”. Alla luce di tale previsione normativa, è opportuno richiamare alla memoria di chi legge l’art. 2232 c.c., il quale statuisce che “Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto.
Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, dei sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibili on l’oggetto della prestazione”. Orbene, l’espressa previsione dell’operatività di tale principio permette di comprendere e dedurre le modalità con cui si atteggia il rapporto liente/STA. Il legislatore ha voluto tener fermo il principio secondo cui il prestatore d’opera, cioè colui che esegue materialmente la prestazione, debba essere un soggetto abilitato a quella determinata professione. Tuttavia, una simile espressa previsione lascia intendere come il rapporto d’opera alla base, invece, si instauri tra la STA e il cliente.
E’ facile ipotizzare uno scenario in cui un cliente che necessita di assistenza legale stipuli un contratto d’opera professionale con la STA, avente ad oggetto una determinata prestazione professionale, la quale poi verrà eseguita da un socio avvocato successivamente individuato alla stregua dei criteri di ripartizione degli incarichi interni alla società medesima. In altri termini, l’accordo tra cliente e società fa nascere un’obbligazione di prestazione professionale a carico di quest’ultima, la quale ovviamente può essere eseguita solamente da un socio avvocato.
Peraltro, le obbligazioni nascenti dall’obbligazione della prestazione professionale divengono inevitabilmente obbligazioni sociali, con tutto ciò che ne deriva. Qualora il professionista individuato ed incaricato della prestazione professionale, per esempio, si dimostri inadempiente o, diversamente, receda dalla partecipazione alla STA, sarà la società a risponderne, sulla base della disciplina legale afferente il modello societario scelto. Per ipotesi, in una STA costituita secondo lo schema della S.n.c. (Società in nome collettivo), i soci risponderanno con il proprio patrimonio solidalmente e illimitatamente (art. 2291 c.c.) dell’opera di ciascun professionista incaricato.
2.6 La responsabilità del socio professionista incaricato
Alla responsabilità della STA si aggiunge anche quella del professionista che sia stato incaricato di porre in essere la prestazione professionale cui la società si è obbligata.
Al comma 4 dell’art. 4-bis, in effetti, si legge: “La responsabilità della società e quella dei soci non esclude la responsabilità del professionista che ha eseguito la specifica prestazione”. Dunque, anch’egli risponderà della propria condotta, unitamente alla Società di appartenenza. La responsabilità del professionista incaricato, poi, inerisce anche l’obbligo di assicurare che durante l’intero arco temporale necessario all’espletamento dell’incarico, egli sia indipendente ed imparziale; e di manifestare ogni possibile traccia di conflitto di interesse o di incompatibilità, sia iniziali che sopravvenute.
2.7 Causa di esclusione dalla società
Le vicende professionali del socio, quali la sospensione, la cancellazione o la radiazione dall’Albo di appartenenza, si ripercuotono anche sulla vita del medesimo all’interno della Società. Il comma 5 dell’art. 4-bis del testo di riforma in esame, è limpido nel prevedere che l’irrogazione di una delle surrichiamate sanzioni disciplinari, costituisca causa di esclusione dalle società di cui al comma 1. Il comma in parola recita così: “La sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall’albo nel quale è iscritto costituisce causa di esclusione dalla società di cui al comma 1”. V’è incertezza sulla natura di tale esclusione: opera di diritto o necessita di apposta deliberazione dell’organo di gestione? In effetti, è opportuno rilevare che l’istituto della ”esclusione” è di facile coordinamento con alcuni modelli di società piuttosto che con altri. Ad esempio, la disciplina legale delle società semplice (cfr. art. 2286 c.c.) affronta in modo sistematico tale aspetto, prevedendo numerosi e possibili motivi di esclusione. Ciò, invece, non accade per le S.p.A., dove la sola ipotesi di esclusione è quella prevista per il mancato pagamento da parte del socio delle quote (cfr. art. 2344 c.c.), creando problematiche in ordine alla disciplina da applicarsi qualora l’esclusione avvenga per motivi disciplinari. Il socio deve essere rimborsato (dagli altri soci o da un terzo subentrante?) del valore della sua partecipazione e il capitale sociale deve essere ricostituito. Per le STA con natura di S.p.A., forse, sarebbe auspicabile una apposita clausola statutaria che affronti tali aspetti.
Comunque, resta assolutamente pacifico che la radiazione o la sospensione del procuratore, così come la sua morte, genera ai sensi dell’art. 301 c.p.c. la automatica interruzione del giudizio da egli patrocinato. Tuttavia, nel caso delle STA, come detto, il rapporto contrattuale d’opera professionale è stipulato tra Cliente e Società. Per questa ragione, sarà obbligo della STA di sostituire il socio professionista radiato o sospeso così da proseguire la causa senza alcun pregiudizio né per il cliente in ordine alla tutela legale né per la STA in ordine al pagamento dei compensi.
2.8 La responsabilità disciplinare della STA
L’ultimo comma dell’art. 4-bis afferma “Le società di cui al comma 1 sono in ogni caso tenute al rispetto del codice deontologico forense e sono soggette alla competenza disciplinare dell’ordine di appartenenza”. In altri termini le STA, parimenti al singolo professionista, sono assoggettate alle disposizioni del Codice Deontologico e, di guisa, alla competenza disciplinare dell’Ordine di appartenenza. Sul punto sorgono incertezze soprattutto in ragione del principio di tipicità sancito in materia di illeciti disciplinari. Dal dettato normativo, infatti, emerge un generico assoggettamento delle STA alle disposizioni deontologiche forensi, non lo specifico richiamo e, quindi, l’espressa estensione alle Società Tra Avvocati di tutte quelle condotte e le relative sanzioni tipizzate all’interno del Codice Deontologico Forense per il singolo professionista. L’assenza di previsioni più dettagliate può generare non soltanto dubbi, ma anche vuoti pericolosi. Se gli obblighi di condotta e le relative sanzioni per le STA siano le medesime sancite dal Codice Deontologico Forense per il singolo professionista, ben potrebbe verificarsi la sospensione o la radiazione della medesima. E cosa accadrebbe ai giudizi incardinati? In linea di principio, questi potrebbero proseguire, venendo meno anche l’effettività della sanzione. Infatti, la sanzione irrogata nei confronti della società non travolge anche il singolo professionista incaricato che, sempre in ragione del principio di personalità della prestazione, sarebbe legittimato (tenuto) a proseguire nel giudizio a tutela del cliente (procura). Da questo punto in poi, però, essendo venuta meno la possibilità per la STA sospesa o radiata di adempiere alle proprie obbligazioni nei confronti del Cliente, nascenti dal contratto di prestazione d’opera, quest’ultimo non sarebbe più tenuto a versare i compensi per i crediti futuri alla STA.
3. Aspetti previdenziali e distorsione della concorrenza
Un’ultima questione non marginale da affrontare è quella in materia previdenziale. Dal testo di riforma (art. 4-bis) non si ricava alcunché in ordine all’obbligo delle STA di iscriversi alla Cassa Forense. Come già detto, il rapporto contrattuale di prestazione d’opera sorge tra Cliente e Società, dunque è la società ad emettere fattura. Ma se le STA non sono tenute ad iscriversi alla Cassa, ne deriva che la fattura emessa dalle medesime non debba comprendere la voce relativa all’ordinario 4% di C.P.A.
E’ di tutta evidenza, dunque, che laddove fosse confermata tale ipotesi, le STA stipulanti contratti di prestazione d’opera opererebbero un importante effetto discorsivo sulla concorrenza rispetto alle parcelle proposte da quei professionisti che operato individualmente, poiché obbligati ad applicare tale aliquota.
4. Criticità
E’ indubbio che tale riforma sia un primo passo verso una concezione di Studio Legale che possa garantire una maggiore efficienza e produttività nell’esercizio della professione. Ma è anche vero che alcune rilevanti questioni restano aperte e dovranno essere affrontate, di modo che si possa raggiungere un quadro normativo più dettagliatamente delineato. Talune questioni, dunque, necessitano di una più approfondita riflessione e di interventi di perfezionamento.
Nello specifico:
- in ordine all’oggetto sociale delle STA. Se è vero che si parla di “Società tra avvocati” e se è vero che l’art. 4-bis è rubricato “Esercizio della professione forense in forma societaria”, è ugualmente vero che la normativa ammette la partecipazione di professionisti diversi dall’avvocato e che non v’è alcuna previsione che limiti l’oggetto sociale della STA, con tutte le problematiche che possono derivarne, sotto svariati profili, in ordine all’eventuale esercizio di attività professionale diversa da quella forense; in merito allo scioglimento e alla cancellazione delle STA. Qui si coglie un po’ di approssimazione nella stesura della riforma. Si parla di “scioglimento” della società e “cancellazione” della medesima nell’ipotesi in cui la clausola statutaria obbligatoria, la quale impone almeno i 2/3 della compagine sociale e dei diritti di voto appannaggio dei professionisti, venga meno. Probabilmente, sarebbe stata sufficiente la previsione della sola “cancellazione” dall’Albo da parte dell’Ordine degli Avvocati, senza prevedere lo “scioglimento” della medesima che comporta un appesantimento particolarmente gravoso dell’intero iter (cfr. liquidazione ecc.);
- infine, dubbi restano su come andrà ad atteggiarsi la gestione del giudizio pendente qualora vi sia l’uscita del socio avvocato incaricato dalla STA. Come detto, alla base v’è un contratto di prestazione d’opera professionale tra STA e cliente, ma la procura alle liti non può che esser data dal cliente al professionista avvocato incaricato. E’ possibile ipotizzare casi in cui, chiuso il rapporto tra STA/Socio incaricato, il cliente non revochi la procura all’avvocato ex socio e quest’ultimo, comunque, non vi rinunci. E’ evidente che la questione andrà risolta contrattualmente, con inevitabile incremento di contenzioso e ciò, anche con riferimento a casi di responsabilità professionale e pagamento dei compensi.