Il patto di quota lite breve excursus normativo e recenti pronunce giurisprudenziali
IL PATTO DI QUOTA LITE
Il cd. patto di quota lite (dal latino medievale “quota litis”) è l’accordo raggiunto da un avvocato con il proprio cliente in cui il compenso dovuto viene quantificato come una “quota” di beni o crediti litigiosi, il relativo calcolo verrà eseguito in percentuale o in proporzione del risultato raggiunto al termine dell’incarico o della causa. La disciplina codicistica ed i principi deontologici, per lungo tempo e sino al 2006, hanno ritenuto il patto di quota lite contrastante, sotto taluni aspetti, con il decoro, la dignità ed il prestigio di cui da sempre si fregia la professione legale1 e, per siffatto motivo, ne hanno disposto in modo deciso ed univoco, il relativo divieto.
EVOLUZIONE NORMATIVA
Prima del 2006, l’unica eccezione al divieto dei patti di quota lite era rappresentata dalla possibilità di pattuire il pagamento di una somma aggiuntiva in caso di esito positivo del giudizio. Il vecchio testo dell’art. 452 del codice deontologico forense consentiva tale pattuizione, a condizione che fosse contenuta in limiti ragionevoli ovvero proporzionati all’importanza del risultato conseguito. La distinzione tra tale convenzione e il patto di quota lite era operata in relazione al caso concreto, potendo la prima dissimulare un accordo vietato sia ai sensi dell’art. 2233 c.c. sia della norma deontologica.
Con l’entrata in vigore del Decreto-legge 4 luglio 2006 n. 223 (meglio noto come “Decreto Bersani” convertito nella Legge 4 agosto 2006 n. 248), nell’ottica di una maggiore concorrenzialità anche nell’ambito dei servizi professionali, viene eliminato il principio dell’inderogabilità dei minimi tariffari e legittimato il patto di quota lite a condizione che venga concluso mediante pattuizione scritta tra avvocato e cliente.
Il Decreto Bersani interviene anche sulla disciplina codicistica che, da sempre, al comma 3 dell’art. 2233, vietava la stipula del patto di quota lite apportandovi sostanziali modifiche: “Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”.
Chiara Catalani
Associata