Intervista all’Avv. Francesca Pellegrini, specializzata in Diritto di famiglia
Socia dello Studio Picozzi e Morigi Avvocati, specializzata in Diritto di famiglia, Diritto Bancario e Diritto Successorio, l’Avv. Francesca Pellegrini ci parla della responsabilità genitoriale.
Mi occupo da diversi anni delle problematiche connesse alla crisi familiare: in questo specifico contesto ho avuto l’opportunità di notare come spesso il genitore, in preda alla rottura della relazione affettiva, tenda a dimenticare il fondamentale ruolo che è chiamato a svolgere – anche nella fase patologica – nell’interesse dei figli. Tralasciando i casi più gravi, posso affermare che talvolta i rancori e le incomprensioni tra i genitori superino il livello di tollerabilità fisiologica e il conflitto diventi talmente grave da ripercuotersi negativamente sui figli, creando loro un pregiudizio psico – fisico. In questi casi il pericolo dell’affidamento ai servizi sociali diventa immanente. E’ bene ricordare, tuttavia, che l’affidamento ai servizi sociali e soprattutto il collocamento eterofamiliare del minore vengono disposti, anche in via provvisoria, solo laddove veramente indispensabili.
Cosa si intende per “responsabilità genitoriale”?
Il termine “responsabilità genitoriale” nasce con la riforma del Diritto di famiglia attuata con il D.Lgs. n. 154/2013 e sostituisce quello di “potestà genitoriale”. In verità la prima svolta terminologica, ma soprattutto sostanziale, nell’ambito del rapporto genitori – figli risale alla riforma del 1975, quando da una concezione patriarcale propria della “patria” potestà si passò alla potestà “genitoriale”. Sicuramente tale termine è in linea con il venir meno della diseguaglianza tra uomo e donna, ma lascia invariato il concetto di potestà e/o potere e/o supremazia dei genitori. Solo con l’ultima riforma l’accento è stato posto sui figli e i poteri dei genitori sono diventati funzionali al loro benessere e alla loro serena crescita. Così recita l’art. 315 bis, al 1 e 2 comma, c.c. “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”.
In cosa consiste allora la “responsabilità genitoriale”?
Nella relazione illustrativa alla riforma del diritto di famiglia si precisa che la nozione “responsabilità genitoriale” non è stata – volontariamente – definita per poter “essere riempita di contenuti a seconda dell’evoluzione socio – culturale dei rapporti genitori – figli”. Ciò detto, la responsabilità genitoriale indica l’insieme dei diritti e dei doveri, di volta in volta indicati dalla legge, che spettano e gravano su entrambi i genitori verso figli, quali il diritto/dovere di mantenerli, educarli, istruirli, assisterli moralmente, curarne gli interessi e crescerli nella propria famiglia.
A chi spetta?
L’art. 316 c.c. stabilisce che “Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore”. Al comma 4 dell’art. cit. si precisa che “il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriali spetta ad entrambi”. Questa norma ha il pregio di attribuire all’esercizio della responsabilità genitoriale una portata ampia che prescinde dalla natura della convivenza dei genitori, sia essa basata su un legame more uxorio, sia essa dipesa da un rapporto coniugale. E non cessa, come sottolinea l’art. 317 c.c., a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio. Il che vuol dire che la fine di un matrimonio o di una convivenza non incide nel rapporto genitori – figli né pone fine agli obblighi che gravano sui genitori nei confronti dei figli. In questi casi, e al sol fine di rendere effettivi i diritti della prole, il Giudice sarà chiamato ad adottare i provvedimenti che riterrà più opportuni nell’interesse esclusivo dei figli stessi.
In quali casi è prevista la decadenza dalla responsabilità genitoriale?
La responsabilità genitoriale richiede “capacità genitoriale”, cioè l’idoneità di ciascun genitore ad occuparsi dei propri figli nel rispetto dei doveri che gli sono imposti. Il reiterato inadempimento di tali obblighi può comportare la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale da parte del Tribunale e la conseguente adozione di provvedimenti a tutela dei figli. A tal proposito, l’art. 330 c.c. prevede che il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio; in tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. Tali provvedimenti possono essere adottati anche quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da comportare la pronuncia di decadenza ex art. 330 c.c., ma appare comunque pregiudizievole al figlio. In entrambi i casi, il Giudice dovrà valutare l’incapacità genitoriale e, tra gli elementi, terrà conto soprattutto delle relazioni dei Servizi Sociali deputati ad esprimersi, per l’appunto, sulla idoneità di uno o di entrambi i genitori a prendersi cura dei propri figli. Resta inteso che la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale non influisce affatto sull’obbligo di mantenimento della prole che permane a prescindere ma comporta, laddove colpisca un solo genitore, l’affidamento esclusivo all’altro.
Riprendendo il discorso iniziale, vorrei infine sottolineare come la Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6535/2019 del 06.03.2019, chiamata a decidere sull’affidamento di un minore, figlio di una coppia convivente, abbia ribadito un principio ormai consolidato, ossia che “La mera conflittualità riscontrata tra i genitori non coniugati, che vivono separati, non preclude il ricorso al regime preferenziale dell’affidamento condiviso dei figli ove si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre può assumere connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse”.
Francesca Pellegrini
Socio